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MONTE CATRIA 30 - 31 LUGLIO 2011

MONTE CATRIA 30 - 31 LUGLIO 2011
FESTA DELLA MONTAGNA

venerdì 24 luglio 2009

Escursione alla Valle delle Prigioni e Monte Cucco.

Riporto con piacere il racconto di una escursione a M.te Cucco che un'anonima amica ci ha proposto. Peccato non ci abbia fornito di immagini, ma qualora ne avesse le aggiungeremmo volentieri.


Con il solito, simpatico gruppo di montanari, alcuni indigeni ed altri emigrati ma comunque affezionati ai luoghi stupendi dai quali tutti noi proveniamo, abbiamo osato, in una calda estate di qualche anno fa, attraversare la famigerata Valle delle Prigioni.
La sera precedente prendemmo accordi circa l'orario della partenza, l'itinerario da percorrere, e dopo aver scrutato il cielo alla ricerca dei segnali meteorologici propizi, ci demmo la buona notte.
Alle sei del mattino successivo, ci preparammo per la grande giornata, avevamo intenzione di fare un giro incredibile, volevamo arrivare a Monte Cucco passando dalla Valle delle Prigioni. Mai avevamo osato tanto, ma l’entusiasmo era alle stelle e così riempimmo i nostri zaini ed iniziammo la marcia.
Partimmo da San Felice passando per Le Case, una parte della frazione da cui si origina un sentiero leggermente in discesa, che via via diventa più scosceso e ripido, attraversando la fitta boscaglia e già cominciammo a trovare le prime difficoltà. Da qualche giorno, infatti, pioveva a scrosci, durante la giornata, poi tornava il sereno, ma nell'intrico del sottobosco stentano a passare i raggi del sole e di conseguenza ne uscimmo fuori fradici dalla vita in giù.
Tra noi c'era il più esperto, il solito uccello del malaugurio, dicevamo, che non dimenticava mai di mettere nel suo zaino l'ombrello, anche se il cielo era perfettamente terso e il Bernacca di turno aveva previsto bel tempo fino al Natale successivo.
Scendemmo fino al Sasso, dopo l'abitato di Perticano, c'è il sentiero che comincia a risalire per andare su fino all'Eremo di Monte Cucco, ma noi facciamo una deviazione che ci porta ad un altro sentiero meno mistico ma molto più impegnativo.
In basso si sentono le acque del Rio Freddo che gorgogliano saltellando sui massi e con il nostro passo da montanaro esperto, proseguimmo il cammino. In quella occasione la compagnia fu particolarmente eterogenea, poiché il gruppo comprendeva la presenza davvero speciale ed insolita di un nostro compaesano ormai trapiantato in Canada da moltissimi anni.
Era mio coetaneo, compagno di scuola e di giuochi, fin dalla più tenera età, ma un giorno lasciò tutto e raggiunse i suoi parenti nel nuovo continente; per molto tempo ebbi di lui soltanto notizie di seconda mano.
Ma quell’anno era in vacanza e volle partecipare con noi a questa straordinaria escursione.
Comunque, arrivati ad un certo punto del percorso, la cosa si faceva interessante e anche scomoda perché bisognava passare dentro una ex condotta dell'acqua, carponi, con gli zaini in spalla che ci impedivano di avanzare agevolmente a causa della grandezza del tubo, piuttosto angusto, con il suo diametro di poco meno di un metro.
Avevamo come compagno anche un cane che, passando in fila indiana nel tubo, agitando la coda, sembrava voler scacciare le mosche al fortunato che seguiva. Non vi posso descrivere quante risate a crepapelle, chi soffriva di claustrofobia spingeva il gruppo ma con quel groviglio di gambe, zaini, code di cani e bastoni, non se ne veniva a capo.
Finalmente superammo anche questo ostacolo e si aprì ai nostri occhi uno scenario spettacolare, passammo in un tratto sempre costeggiando il fiume, con rocce e spaccature della montagna da sembrare un paesaggio veramente insolito per quei luoghi dalla fitta vegetazione.
Naturalmente il solito, non posso fare nomi ma c'era sempre, l'affamato che doveva fare la seconda colazione, tirò fuori dallo zaino il panino e cominciò il suo spuntino bevendo l'acqua fresca offerta dalla natura.
Proseguimmo il cammino in salita, e cominciammo ad avere la visuale più ampia, eravamo in una zona in cui c’erano uomini e cavalli, che trasportavano la legna.
Poco più avanti trovammo un grande fontanile chiamato Acqua Passera, un grande abbeveratoio ristoratore per mandrie e viandanti come noi e lì naturalmente ci scappò un altro spuntino, innaffiato, si fa per dire con le fresche acque del Pian delle Macinare.
Arrivati in questo grande spiazzo il cammino diventò per poco più agevole ed allora, con più fiato a disposizione, potevamo permetterci di scherzare prendendo in giro questo o quell’altro montanaro, ma ben presto dovemmo riprendere i piccoli sentieri ora in salita ora in discesa e risparmiammo il fiato.
Finalmente qualcuno disse: quando ci fermiamo a mangiare? Non ce lo facemmo dire due volte: posammo a terra i nostri zaini e, dopo esserci seduti, timidamente spuntò un panino qua, un pomodoro là, (c'era sempre chi stava a dieta) ma quello che più ci stupì fu il nostro montanaro più anziano, a suo dire irrimediabilmente astemio, che tirò fuori come per magia, la bottiglietta del vino rosso.
Eravamo seduti a conversare e a mangiare il nostro poco lauto pasto quando il “montanaro” disse guardando il cielo: "via, andiamo presto che tra poco piove!".
Guardammo il cielo e poi il livello del liquido scuro nella bottiglia e ci venne il dubbio che avesse esagerato con il vino, data la sua astinenza decennale.
Ma lui insistette e siccome noi eravamo rispettosi dell’esperienza e dell’età, di malavoglia rinfoderammo le nostre vettovaglie e ci rimettemmo in cammino. Non avemmo neanche il tempo di verificare se qualcuno aveva portato il barattolo della marmellata che tanto ci rinfrancava a fine pasto.
Incontrammo appassionati di deltaplano che preparavano i loro velivoli ma dovemmo proseguire velocemente perché, secondo il nostro anziano, di lì a poco poteva venire il temporale.
A questo punto, sulla strada che ci avrebbe portato a Monte Cucco, cominciammo a sentire il rumore preoccupante del tuono, accelerammo il passo e cominciammo ad essere colpiti dalle gocce di pioggia.
Il nostro meteorologo con fare disinvolto tirò fuori dallo zaino l'ombrello e cominciammo a correre per raggiungere al più presto la Val di Ranco, dove avremmo trovato riparo all'interno di uno dei due ristoranti del luogo.
Qualcuno improvvisò un copricapo con buste di plastica, qualcun altro fingendo di parlare di argomenti importanti si mise sotto braccio all'unico possessore del prezioso parapioggia, qualcun altro si inzuppò come un pulcino.
E tutti, alla fine, arrivammo alla meta, ridendo a crepapelle per come ci eravamo ridotti. Ci fermammo per un momento davanti alla porta del ristorante, preoccupati di dover entrare grondanti acqua e con l'aspetto da disperati, ma avevamo necessità di asciugarci e riassumere un minimo di parvenza umana.
La sala del ristorante era gremita di avventori e turisti e, al nostro ingresso sgranarono tanto d'occhi e smisero di mangiare. Ci azzardammo ad attraversare la sala sotto gli sguardi incuriositi e impietositi dei clienti, per dirigerci verso i bagni e, cominciò tra di noi la trattativa sul vestiario di scorta che qualcuno più previdente si era premurato di infilare nello zaino.
Riuscii a rimediare un paio di bermuda maschili di tre taglie più grandi ma furono ben accetti, per l'operazione di spoglio e vestizione però, impiegammo molto tempo perché tutto questo avvenne con grande gaudio e risate, tanto da non riuscire a stare in piedi, soprattutto quando il nostro canadese ci comunicò bellamente che sarebbe entrato nella sala del ristorante per chiedere ai commensali se qualcuno gli avrebbe venduto un paio di jeans.
Questi italo-americani!
Riuscimmo a dissuaderlo e ci recammo al bar per sollazzarci con qualcosa di caldo che ci desse un po’ di sollievo, ma dopo il caffè, più o meno corretto, passammo alla correzione pura e, dulcis in fundo, la bottiglia di prosecco per brindare alla nostra prodezza.
Eravamo stanchi, concitati e zuppi ma ci risollevammo e riprendemmo la via del ritorno. Il percorso proseguiva per un tratto a ritroso, ma poi dovemmo deviare per arrivare in cima a Lospicchio, altra sommità panoramica degna di nota.
Raggiunta la cima, ci sedemmo per un’altra sosta, prima di riprendere l'ultimo tratto che ci avrebbe ricondotti alle nostre case e, controllando gli zaini, ci accorgemmo che qualcuno era ancora in possesso di qualche biscotto o tozzo di pane. Ma, cosa ancor più incredibile, c'era lei, la tanto desiderata marmellata, da consumare obbligatoriamente con le dita, infilandole a turno, nel barattolo.
Questo ci convinse in modo definitivo che la nostra giornata si era conclusa felicemente e, cantando e scherzando, riprendemmo la strada del ritorno.
Negli anni che seguirono tornammo "dal prigioniero" come dicevamo tra noi, ma il ricordo ci quella giornata rimane senz'altro indelebile ed insostituibile per tutti noi.